domenica 15 maggio 2011



Cammino per la strada

occhi socchiusi e umidi
per proteggermi
dal vento che spettina le idee
e dal dolore
che come un seme trova
fertili le mie pupille
e mi crescono alberi negli occhi.



domenica 8 maggio 2011

IO

C'era una volta io, ma non andava bene.
Mi capitava di incontrare gente per strada e di scambiarci due parole e per un pò la conversazione era simpatica e calorosa, ma arrivava sempre il momento in cui mi si chiedeva: "Chi sei?"
Io rispondevo: "Sono io" e non andava bene.
Era vero, perchè io sono io,
è la cosa che sono di più.
E se devo dire chi sono
non riesco a pensare a niente di meglio.
Eppure non anadva bene lo stesso.
L'altro faceva uno sguardo imbarazzato e si allontanava il più presto possibile.
Oppure chiamavo qualcuno al telefono e gli dicevo " sono io"
Ed era vero
e non c'era un modo migliore
più completo
più giusto di dirgli chi ero.
Ma l'altro imprecava o si metteva a ridere e poi riagganciava.
Così mi sono dovuto adattare.
Prima di tutto mi sono dato un nome e se adesso mi si chiede chi sono rispondo "Giovanni Spadoni".
Non è un granchè come risposta.
Se mi si chiedesse chi è Giovanni Spadoni probabilmente direi che sono io.
Ma chissà perchè, dire che sono Giovanni Spadoni funziona meglio.
Funziona tanto bene che nesuno mai mi chiede chi è Giovanni Spadoni, si comportano tutti come se lo sapessero.
Invece di chiedermi chi è Giovanni Spadoni gli altri mi chiedono dove e quando sono nato, dove abito, chi erano mia madre e mio padre.
Io gli rispondo e loro sono contenti.
E forse sono contenti perchè credono che io sia quello che è nato nel posto tale e abita nel posto tal'altro, e che è figlio di tizio e di caia e padre di questo e di quello.
Il che non è vero, ovviamente.
Non c'è niente di speciale nel posto tale o tal'altro in tizio e caia.
Se fossi nato altrove in un'altra famiglia, sarei ancora lo stesso, sarei sempre io.
E' questa la cosa che sono di più, la cosa più vera e più giusta che sono.
Ma questa cosa non interessa a nessuno.
Intaressa dell'altro, e quando lo sanno sono contenti.
Una volta c'ero io e non andava bene.
Adesso c'è Giovanni Spadoni che è nato a X e vive a Y e così via;
e io non sono niente di tutto questo, ma le cose vanno benissimo.



ERMANNO BENCIVENGA,
LA FILOSOFIA IN CINQUANTADUE FAVOLE

sabato 7 maggio 2011

Il cordino


Quando ero piccolo avevo un grosso problema,
ogni tanto mi facevano male la testa o la gola.
E fin qui neinte di strano.
Non era piacevole ma è una cosa che capita a tutti e come si dice mal comune...
C'era anche però un male che non era affatto comune,
anzi ce n'erano molti.
Succedeva per esempio che mi facessero male i pantaloni
quando la mamma li metteva in lavatrice e quella specie di ruota che c'è lì dentro li sbatteva di qua e di là.
Mi faceva male la porta se il vento la chiudeva con gran fracasso. Mi faceva male il gatto se qualcuno gli tirava la coda; e mi faceva male la sedia quando ci si sedeva su lo zio Pasquale che pesa più di un quintale e a momenti la sfonda.
A un certo punto la mamma decise di portarmi dal dottore.
Era un signore alto e tutto bianco, con degli occhiali così spessi che gli occhi neanche si vedevano.
Mi fece sedere e sdraiare. Mi tastò davanti e dietro.
Mi guardò con certi altri occhiali ancora più spessi
e finalmente si schiarì la voce e cominciò a spiegare.
"Tutti quanti" disse "quando veniamo al mondo ci stacchiamo dal resto delle cose. Alcune cose rimangono nostre come la testa e la gola e altre cose, la maggior parte delle cose, no. Il gatto e i pantaloni e la sedia, per esempio non sono nostri; o meglio, sono nostri nel senso che ce li possiamo tenere e se un altro li vuole ce li deve chiedere, ma non nel senso che fanno parte di noi come la testa e la gola.
Ecco questo è quello che capita a tutti, anzi a quasi tutti.
Per motivi che nessuno comprende ogni tanto nasce un bambino che non si stacca dal resto delle cose."
Io ero un bambino così. Un cordino invisibile ma molto resistente mi legava al gatto e alla sedia e anche alla pastasciutta e alla luna.
Per farmi diventare come gli altri bisognava tagliare il cordino. Detto fatto, il dottore prese uno strumento invisibile ma molto resistente - che strumento fosse non lo so perchè non l'ho visto- e tagliò il cordino.
Da allora va tutto bene o forse dovrei dire non va male.
Non mi fanno più male i pantaloni quando la mamma li mette in lavatrice, o il gatto quando qualcuno gli tira la coda, o la porta quando il vento la chiude con un gran fracasso.
E non mi dispiace di sentir male solo alla testa o alla gola.
C'è anche qualcosa che mi dispiace però.
Prima quando i pantaloni uscivano dalla lavatrice
e la mamma li stendeva al sole,
sentivo questo caldo che mi scorreva dentro come una tazza di cioccolata d'inverno.
Poi la mamma li ritirava nell'armadio fresco e profumato di lavanda ed era come addormentarsi nell'erba, sotto un albero, dopo un pranzo all'aperto e tante corse dietro al pallone.
Per non parlare di quando il gatto si accoccolava sulla sedia, il suo pelo morbido contro il cuoio liscio e vellutato. O quando la mamma sfogliava un libro e senza accorgersene accarezzava le pagine.
Quelle carezze non le sento più da quando se n'è andato il cordino


Ermanno Benciveglia
LA FILOSOFIA IN CINQUANTADUE FAVOLE