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martedì 10 novembre 2009

A volte è l'arte a salvarci e a volte siamo noi a salvare l'arte


Mi siedo in cucina,
nel silenzio,
senza luce,
e assaporo l'amara sensazione dell'assurdo.
Piano piano la mia mente va alla deriva.

Pierre Arthens...
Despota brutale,
assetato di gloria e di onori,
il quale tuttavia si sforza sino alla fine
di perseguire con le parole un'inafferrabile chimera,
lacerato tra l'aspirazione all'Arte e la brama di potere...

In definitiva, dov'è il vero?
E dove l'illusione?
Nel potere o nell'Arte?

Non è forse con la persuasione di discorsi imparati a memoria
che portiamo alle stelle le creazioni umane,
mentre denunciamo come crimine di illusoria vanità
la sete di dominio che ci agita tutti
- sì, tutti,
ivi compresa una povera portinaia nella sua guardiola striminzita,
la quale,
pur avendo rinunciato al potere esteriore,
ciò non di meno insegue nella sua testa sogni di potenza?

Come scorre la vita dunque?
Giorno dopo giorno ci sforziamo
con risolutezza
di fare la nostra parte in questa commedia fantasma.
Da primati quali siamo,
la nostra attività consiste essenzialmente
nel mantenere e curare il nostro territorio
affinché ci protegga e ci soddisfi,
nell'arrampicarci
o almeno non scendere
nella scala gerarchica della tribù,
e nel fornicare in tutti i modi possibili
- foss'anche con la fantasia -
sia per il piacere
che per la discendenza promessa.
Allo stesso modo
usiamo una parte non trascurabile della nostra energia
per intimidire o sedurre,
poiché queste due strategie
da sole
assicurano la brama territoriale,
gerarchica e sessuale
che anima il nostro conatus.
Ma niente di tutto ciò raggiunge la nostra coscienza.

Parliamo di amore,
di bene e di male,
di filosofia e di civiltà,
e ci attacchiamo a queste rispettabili icone
come una zecca assetata al suo cagnolone caldo.
Tuttavia,
talvolta
la vita ci pare una commedia fantasma.
Come strappati da un sogno,
ci guardiamo agire e,
raggelati nel constatare il dispendio vitale
necessario a conservare i nostri requisiti primitivi,
ci chiediamo sbigottiti che cosa ne è dell'Arte.

D'improvviso,
le nostre smorfie frenetiche
ci sembravano il colmo dell'insensatezza,
la nostra casetta confortevole,
frutto di un debito ventennale,
una vana usanza barbara,
e la nostra posizione nella scala sociale,
tanto dura da conquistare
e così eternamente precaria,
una logora vanità.

Riguardo alla nostra discendenza,
la contempliamo con occhio nuovo e inorridito
perché,
senza gli abiti dell'altruismo,
l'atto della riproduzione appare profondamente fuori luogo.
Restano solo i piaceri sessuali;
ma, trascinati nel fiume della miseria primigenia,
vacillano come tutto il resto,
poiché la ginnastica senza amore
non rientra nel quadro delle nostre lezioni imparate a memoria.

L'eternità ci sfugge.

Nei giorni in cui tutte le credenze romantiche,
politiche,
intellettuali,
metafisiche
e morali
che anni di istruzione ed educazione
hanno tentato di imprimere in noi
crollano sull'altare della nostra natura profonda,
la società,
territorio attraversato da grandi onde gerarchiche,
affonda nel nulla del Senso.

Fuori
i poveri e i ricchi,
i pensatori,
i ricercatori,
i potenti,
gli schiavi,
i buoni e i cattivi,
i creativi e i coscienziosi,
i sindacalisti e gli individualisti,
i progressisti e i conservatori;
non sono che ominidi primitivi
i cui sorrisi e le cui smorfie,
le andature e le acconciature,
il linguaggio e i codici,
inscritti nella mappa genetica del primate medio,
significano solo questo:
mantenere la posizione o morire.

In quei giorni avete disperatamente bisogno d'Arte.
Aspirate ardentemente a riavvicinarvi all'illusione spirituale,
desiderate appassionatamente che qualcosa vi salvi dal destino biologico,
affinché la poesia e la grandezza non siano del tutto estromesse da questo mondo.
Allora bevete una tazza di tè
oppure guardate un film di Ozu,
per sottrarvi al cerchio delle disfide
e delle battaglie
che sono prerogativa della nostra specie dominante,
e per dare a questo patetico teatro
l'impronta dell'Arte e delle sue opere maggiori.










Muriel, Barbery

sabato 24 gennaio 2009

Trovato!!!!


"Facciamo un gioco, okay? Devi scoprire da solo dove posso avere avuto voglia di andare uscendo da casa di Marie-Colbert. Immaginami per strada, in lacrime, con il mio fagotto, quella porta definitivamente chiusa alle mie spalle.
Dove andare, adesso. La ferramenta? Per nulla al mondo. Da Louna? Louna avrebbe accresciuto la mia disperazione. Allora? "
Il tutto detto con un'allegria da maestrina, come se quella fosse una serata in colonia e il gioco consistesse nel farmi trovare un ninnolo nascosto in camera nostra aspettando l'ora di spegnere le luci.
"Puoi arrivarci benissimo, Benjamin. Fai uno sforzo. Mettiti al mio posto. Perché io," precisò, "ho fatto esattamente quello che avresti fatto tu!"
Non vedevo proprio come arrivarci. Il panico doveva avermi piazzato una mega benda sugli occhi.
"Dai," insisteva Thérèse, "quando tutto va a rotoli, quando sei pieno di grane fin sopra i capelli, quando Jérémy dà fuoco alla scuola, per esempio, o quando ti accusano di far scoppiare le bombe al Grande Magazzino, da chi vai, Benjamin? E quando ti chiedi dove ha passato la notte tua sorella Thérèse, a chi vai a chiederlo?"
Dio santo...
"Fuochino, fuochino, ci sei quasi, il numero 3 di rue aux Ours è a duecento metri da casa di Marie-Colbert..."
Ho alzato gli occhi su Théo che ha subito messo le mani avanti.
"Hervé e io abbiamo cercato di dirtelo, Ben, che era venuta, ma non siamo riusciti ad aprire bocca. Ci hai detto di rispondere alle tue domande con un sì o con un no e appena ci allargavamo un po' cominciavi a dare i numeri."
"Assolutamente spaventoso," confermò Hervé.
"L'unica cosa che non ci hai chiesto era se Thérèse fosse venuta da noi. Sei entrato come un pazzo e sei uscito come un bolide..."
Thérèse aprì le mani dell'evidenza:
"Benjamin, ho fatto come abbiamo sempre fatto in famiglia quando le cose si mettono male, sono andata da Théo".
"Stop ! "
Ho urlato "Stop!".
E ho spiegato il più pacatamente possibile che non me ne fregava niente di quella tappa interme-
dia. Thérèse era passata da Théo dopo essere uscita da casa di Marie-Colbert, d'accordo, non avevo dato modo a Théo di dirmelo, va bene, Théo era il rifugio episodico della tribù alla deriva, era vero, grazie Théo, viva Théo, gliene sia reso grazie, ma adesso volevo sapere cosa aveva fatto Thérèse quella notte, dopo essere andata a piangere sulla spalla dell'inestimabile zio Théo.
"Dio santo, Thérèse, dove hai passato il resto di quella cazzo di notte? Sento che sto per incavolarmi! Dove sei andata dopo?"
A quel punto si sono messi a parlare tutti e tre insieme,
Thérèse per dirmi che non c'era stato alcun dopo, che quella era la fine della caccia al tesoro amoroso, che era corsa da Théo per non andare a buttarsi nella Senna, donna perduta ancora prima di essere donna, in uno stato, Ben, non te lo puoi immaginare, confermò Théo, convin-
ta, poverina, rincarò Hervé, che non avrebbe mai più amato né sarebbe stata amata, mentre noi eravamo in pieno amore, ricordò inutilmente Théo, e quindi l'avevano accolta entrambi d'un solo slancio, circondata con le loro braccia, riscaldata con il loro respiro, asciugate le lacrime, le avevano aperto il loro letto, scostate lenzuola e coperte sulla tragica nudità di quella disperazione, così tanta dolcezza, ammise Thérèse, così tanta dolcezza la restituiva pian piano alla condizione di donna che la sua passione per Marie-Colbert le aveva comunque fatto intravedere.
Nulla era perduto, cominciava a pensare, restava ancora qualche brace, oh appena rosseggiante, quasi prossima alla cenere, certo, ma che ancora brillava di una parvenza di scintilla, e avevano quindi soffiato su quelle braci come avrei fatto io al posto loro se Thérèse non fosse stata mia
sorella, non era quella la loro vocazione, d'accordo, ma l'urgenza colmava quei divari, avevano sentito la missione primaria di non lasciar morire il fuoco dell'umanità, concordavano del resto con Thérèse su quel punto, la questione dei bambini, anche di ciò, Ben, abbiamo cercato di
parlarti, la questione dei bambini, ma tu non volevi sentire proprio niente, l'importantissima questione dei bambini - e qui anche il papa avrebbe dato loro ragione - tanto che di braci in fiammelle e di fiammelle in gioiosa fiammata, di fiammata in incendio, avevano tutti e tre fatto divampare un fuoco che non si erano nemmeno immaginati, e tuttavia un fuoco concertato giacché pensavano solo all'avvenire di Thérèse, che non si era sposata per spassarsela, Thérèse, ma proprio per l'avvenire, che ha sempre la faccia di un bambino, un bambino che, tra parentesi, non sarebbe capitato nella peggiore delle famiglie, tirato su da Benjamin Malaussène, figuratevi, quanti bambini vorrebbero essere al suo posto, desidererebbero fregargli un papà del genere, e dopo aver risolto la questione decisiva dell'educazione si erano messi tutti e tre a plasmare l'av-
venire, tutti e tre a fabbricare l'avvenire, gioiosamente, prima per dovere di consolazione, poi per pura allegria, giacché la felicità del bambino nasce nel piacere del suo concepimento, tutti i manuali di pediatria te lo confermeranno, Benjamin, un gioioso scatenarsi di buone volontà,
dunque, tanto che gli altri inquilini del palazzo si erano svegliati, offesi, furibondi, picchiando contro tutte le pareti e con tutto l'ardore della loro frustrazione, urlando che avrebbero sporto ogni possibile denuncia a ogni possibile livello, come sempre quando la vita vera si manifesta, ma
loro non se ne curavano, erano l'avvenire in cammino, non solo quello di Thérèse, il sontuoso avvenire della specie umana...
Finché Thérèse, la quale, sia detto per inciso, era più che dotata, altamente inventiva, come succede quando uno si dà anima e corpo a un progetto che merita, finché Thérèse non li lasciò lì, più morti che vivi - nello stato in cui li avevo trovati - completamente svuotati della vita di cui l'avevano riempita, li lasciò lì boccheggianti e corse via, sotto gli insulti che piovevano dalle finestre, verso un taxi libero.
"volevo tornare a casa prima dell'alba, avevo paura che mi sgridassi, Benjamin",
la storia è tutta qui, e se Thérèse non aveva detto niente davanti al sostituto procuratore Jual
non era per l'onore del solo Théo, né per quello di Hervé, no, Thérèse aveva salvaguardato l'onore dell'omosessualità, con la O maiuscola, niente meno, ecco cosa aveva fatto, era sublime!
Guaiva Théo.
"Sublime," confermò Hervé, "Thérèse è stata sublime!"
Un'acme dell'entusiasmo.
Che Thérèse lasciò ricadere lentamente.
Prima di esclamare che qualcuno era stato ancora più sublime, che anche Théo e Hervé non avevano lesinato in fatto di sublime per tirarla fuori di prigione, e che proprio quell'eroismo doveva aver fatto una così forte impressione sugli ispettori Titus e Silistri.
....

Nove mesi dopo - e per la prima volta nella mia lunga esperienza in questo campo - ho visto un bambino uscire dalla pancia della mamma girando la testa a destra e a sinistra. Era una femmina. Papà Théo da un lato, papà Hervé dall'altro, mamma Thérèse nel suo letto bianco: sul momen-
to parve soddisfatta...
Poi la sua piccola fronte si corrugò e lei rifece i conti. In piedi dietro Hervé, un terzo candidato
sembrava emozionato quanto gli altri due. Lei notò forse che con il dorso della mano il terzo candidato accarezzava il palmo della mano di papà Hervé? Notò forse che, dall'altro
lato del letto, papà Théo disapprovava quel gesto del sostituto procuratore Jual? Sta di fatto che quando alla fine gli occhi della piccola nuova si posarono su di me, vi lessi tutta la sua consapevolezza della complessità del mondo e un'ardente preghiera di spiegargliene le istruzioni per l'uso.

sabato 17 gennaio 2009

La Regina dai Cento Amanti

"Gli uomini, pensa, mi trovano bella" mi disse Elena una volta che ci confidavamo i nostri segreti.

"E lo sei, Elena" Le dissi.

"Per me tu sei altrettanto bella, Penelope" disse Elena "Hai qualcosa di unico. Tutte le donne ti ammirano"

"Ma tutti gli uomini ammirano te, Elena" replicai "Non vengono qui per me"

Elena alzo le spalle. "Di uomini ne basta uno. Non ne posso sposare quaranta, e vedrai che fra tutti questi spasimanti ce ne sarà almeno uno che alla prima occhiata sceglierà te"

Aveva ragione. Odisseo era venuto a Sparta con gli spasimanti di Elena, ma quando vide me dimenticò lo scopo per cui era venuto.

Odisseo...

Lo sentii parlare prima di sapere chi fosse. Udii la sua voce, e sentii un brivido alla radice dei capelli, come se avessi morso un limone.

"Elena, chi è quell'uomo?"

"Quale uomo intendi?"

"Quello che sta parlando con Agamennone e gli altri"

"Vediamo un pò. Il Grande Aiace?Il piccolo Aiace?"

"No naturalmente!Ma ascolta, ascolta: sta dicendo qualcosa. Fanno tutti cerchio intorno a lui"

"Sarà sicuramente Odisseo di Itaca"

"Oh no, non quell'Odisseo!" Esclamai delusa.

"Lo conosci?"

"No. Sì. Non so. Mi si è avvicinato una volta, in giardino. L'ho trovato un giovane noioso, rozzo,goffo e appiccicoso"

"Odisseo?Odisseo rozzo , goffo e appiccicoso?Odisseo noioso?"

"Così mi è parso. Mi si è messo alle calcagna. E io non avevo nessuna voglia di parlare con lui, così sono fuggita."

"Lo hai piantato in asso?Odisseo di Itaca?Non posso credere alle mie orecchie"

"Cosa c'è di speciale in Odisseo di Itaca?Lo trovi speciale tu?Vuoi per caso sposarti con lui?"

"Io? Con Odisseo? No di certo, neanche per sogno"

"Perchè neanche per sogno?Cosa gli manca?"

"Ha troppo poco da offrirmi. Menelao offre molto, molto più di lui"

"Non possiamo avvicinarci un pò?Vorrei sentire cosa dice"

"No, noon possiamo, Penelope. Non sta bene"

Elena salì al piano di sopra, e io rimasi lì in fondo alle scale. La voce di Odisseo mi tratteneva. Ma quando lui mi vide e venne verso di me, non capii più cosa mi prendeva, e corsi di sopra. Che cosa volevo, insomma?Lo cercavo e lo evitavo. Facevo di tutto perchè mi guardasse e mi nascondevo ai suoi sguardi.

Non sapevo che fare, ma tutto era già stato deciso per me.

"Odisseo di Itaca vuole sposarti" mi disse Elena.

...

Naturalmente mio padre acconsentì, cha altro poteva fare? E io mi sentii profondamente umiliata. Ora a Sparta tutti sanno che io sono servita da moneta di scambio per la cara pace. Odisseo venne da me ad affare concluso, ma io gli voltai le spalle e corsi via. Lui mi corse dietro chiamando il mio nome:

"Penelope!Penelope!"

Mi fermai. Anche lui si fermò, allargò le braccia in un gesto desolato, come volesse alzarsi in volo e disse: 

"Cos'hai contro di me?"

Cosa avevo contro di lui? Mi faceva sentire debole e spaurita, ecco che cosa avevo contro di lui. Ma, in  nome del cielo, com'era possibile che proprio quell'uomo ambiziosostesse in un atteggiamento così umile davanti a me? Com'era possibile che fosse in mio potere rendere così debole e spaurito un uomo che aveva potuto costringere mio zio e il mio inacessibile padre a far quel che voleva?

"Cos'hai, penelope, contro di me?"

"Niente, per la verità" gli dissi.

E lo amai, lo amai. Era vero quel che aveva detto Elena:un uomo basta. Un uomo come Odisseo. Lo seppi quando, dopo le nozze, partii con lui per Itaca e mio padre ci corse dietro con il suo carro, piangendo per tutta la strada , perchè voleva trattenerci a Sparta. 

"Penelope, bambina mia!Rimani qua Penelope: morirò se te ne vai". Io mi tirai il velo sul viso e restai con Odisseo. 

Dicono di Odisseo, Imme Dros

Cento principi per una regina


Eccola che viene. Oh Penelope, mia regina!

Il suo passo danzante...

Non so resisterle.

Il suo sguardo!Mi ammicca col suo sguardo!

Ah, inseguirla fra il grano...

E' divina. Fuoco sotto il ghiaccio.

Artemide in persona, raggiante tra le dee.

Artemide e Atena in una sola persona.

Penelope, bella, altera Penelope.

Sposerò Penelope: l'avvoltoio volava a destra.

Braccia bianche come avorio tornito...

Morbida come panna, come Afrodite stessa!

Occhi di colomba al disopra del velo.

Quanto tempo ancora? Quanto tempo ancora?

Quando l'avrò, pigolerà come una rondine.

Stasera mi faccio almeno tre schiave.

Sposerò io Penelope.

Penelope o nessuna.

Il suo collo mi fa impazzire.

Sposerò io Penelope.

Eterni dèi, datemi Penelope!

Occhi di cerbiatta, teneri occhi di cerbiatta!

Penelope e io siamo alla stessa altezza.

Penelope mi ha scritto due lettere.

Penelope mi ha sorriso accanto alla colonna.

Io posso offrirle la dote più ricca.

Sposerò io Penelope.

Imparerà chi è che comanda.

Mi fa segno con le belle ciglia.

Il figlio di Penelope morrà.

Sposerò certamente Penelope.

Suo padre e mio padre erano amici.

A Penelope piacciono gli uomini d'ingegno.

Sposerò Penelope, se è volere di Zeus.

Il palazzo va rifatto, butterò giù quel muro...

Quando avrò quarant'anni lei ne avrà sessanta...

Melanto è un buon bocconcino, mi prendo anche kei.

Sposreò la regina Penelope.

Ah, se mi conoscesse meglio...

Imparerà a conoscermi.

La questione è: potrà ancora darmi un erede?

Per esser bella è bella.

Io me l'intendo con Telemaco.

Quel vecchio Laerte è eterno!

I suoi occhi sono unici, il resto non si vede.

Quel che pensa lo si può indovinare.

Sposerò Penelope, ora ne sono certo!

Quanto avrà offerto Antinoo?

Quanto offrirà Eurimaco?

All'occorrenza venderò un'isola.

Diventerò re di Itaca.

Non c'è un'altra come Penelope.

Fossimo ad Argo, saremmmo in diecimila.

Che occhi, che immensi occhi.

Che splendida figura.

Se m'invita nel suo letto....

Sposerò io Penelope 

Sposerò io Penelope 

Sposerò io Penelope 

Ha un collo di cigno.

Caviglie eleganti, mani delicate.

E'ben fornita.

La sposo io, Penelope.

La sposo io, Penelope.

La sposo io, Penelope.

Come avanza leggera sui sandali.

Mia sposa, mia amata.

La stritolerò!

La sua voce mi esalta.

Che importa qualche annetto di più?

Il ragazzo deve togliersi dai piedi!

La sposo io, Penelope.

La sposo io, Penelope.

Le sue mammelle sono come due pomi.

Un colpo alle spalle.

Lunghe, lunghe gambe.

La sposo io, Penelope.

La sposo io, Penelope.

Io l'amo.

La sposo io, Penelope.

le sue labbra scarlatte.

I suoi fianchi sono torri d'avorio.

I suoi capelli lucenti come uno scudo forbito.

Miele dolce come un miele dolce come il miele..

Con Penelope in una vigna tranquilla...

Le sue guance morbide come piuma d'oca.

Aspettare , contare i giorni.

Sono malato d'amore.

La sposo io, Penelope.

Sposerà me.

Io,

io,

io,

io,

io,

io,

io,

io,

io,

io,

io.

Dicono di Odisseo, Imme Dros

giovedì 8 gennaio 2009

Verbale (parte 4)

LISISTRATA:
  E allora parlo: ché non c'è da fare
  misteri. Donne, se vogliam costringere
  gli uomini a far la pace, ci dobbiamo
  astenere...
MIRRINA:
  Da che? Di'.
LISISTRATA:
  Lo farete?
MIRRINA:
  Ci costasse la vita, lo faremo!
LISISTRATA:
  Ci dobbiamo astenere dall'uccello...
  (Sgomento generale)
  Che mi vi rivoltate? Dove andate?
  Perché torcete il labbro, e fate segno
  di no? Quei visi perché mai si sbiancano?
  Perché scorron le lagrime? Volete
  o non volete? O a che vi preparate?
MIRRINA:
  Io non potrei: séguiti pur la guerra!
VINCIBELLA:
  Nemmeno io: séguiti pur la guerra!
LISISTRATA:
  Sogliola, tu parli cosí? Volevi
  farti spaccare, adesso adesso, in due!
VINCIBELLA:
  Ogni altra cosa, ogni altra cosa! Andrei,
  di preferenza, fra le fiamme. Meglio
  lí, che lontano dall'uccello! Niente
  c'è che lo possa equivaler, Lisistrata!
LISISTRATA (A Mirrina):
  E tu?
MIRRINA:
  Le fiamme, anch'io scelgo le fiamme!
LISISTRATA:
  Ah, sesso nostro pieno di libidine!
  Non hanno torto a scrivere tragedie
  sui fatti nostri! Se per noi non c'è
  che una sola canzone! Oh via, Spartana
  mia brava - ché, di certo, ove ci fossimo
  tu sola ed io, si condurrebbe in porto
  l'affare - dammi voto favorevole!
LAMPETTA:
  È duro, pe le donne, a dormí sole,
  senza l'ucello! E pure, s'ha da fà:
  che della pace, proprio c'è bisogno!
LISISTRATA:
  Ah! Tu sola sei donna, amore mio!
VINCIBELLA:
  E astenendoci. Dio ci guardi e liberi,
  da quel che dici, avremo fatto un passo
  verso la pace?
LISISTRATA:
  E che passo! Se noi,
  con la passera rasa, profumate,
  in vestaglie d'Amorgo trasparenti,
  girassimo per casa, e quando i nostri
  mariti, a pinco ritto, ci volessero
  fotter, non ci accostassimo, e fuggissimo,
  presto, lo so, farebbero la pace!
LAMPETTA:
  Eh, Menelao, la spada la buttò,
  me pare, ner vedé le zinne d'Elena!
VINCIBELLA:
  E se i mariti, bella mia, ci piantano?
LISISTRATA:
  Come dice Ferècrate? Si scortica
  la cagna scorticata!
VINCIBELLA:
  Son bazzecole,
  codesti surrogati! E se ci pigliano
  e trascinano a forza entro la stanza?
LISISTRATA:
  Ghermisciti alla porta!
VINCIBELLA:
  E se ci picchiano?
LISISTRATA:
  Stacci di mala voglia: in queste cose,
  c'è poco gusto, se son fatte a forza.
  E in ogni modo s'hanno a tormentare:
  e non pensare, cederanno súbito
  súbito! Un uomo non avrà piacere
  mai, se non ne procura anche alla femmina.

...

LISISTRATA (Compare su le mura):
  Fermi coi pali!
  Esco da me. Che servon pali? Senno
  vuol essere, giudizio. Altro che pali!
(Esce dalla porta, e si pianta dinanzi al commissario)
COMMISSARIO:
  Ah, sí, pezza di bindola? L'arciere
  dov'è? Prendila, legale le mani
  dietro la schiena!
LISISTRATA:
  Arciere o non arciere,
  gli costerà salata, se mi tocca
  con la punta di un dito, per Artèmide!
COMMISSARIO (A un arciere):
  Coso, hai paura? Non l'acciuffi a mezza
  vita? E tu? Via, sbrigatevi, legatela!
VINCIBELLA (Esce a difesa di Lisistrata):
  Se tu metti una mano addosso a questa,
  ti fo cacare, a calci nella pancia!
COMMISSARIO:
  Cacare? Avanti l'altro arciere! Lega
  prima codesta, perché ciancia pure!
MIRRINA (Uscendo):
  Se tocchi questa solo con la punta
  d'un'unghia, presto cercherai ventose!
COMMISSARIO:
  Ma che succede? Ov'è l'arciere? Acciuffala!
  Le faccio finire io, queste sortite!
ALTRA DONNA (Uscendo):
  Se tu, perdiana, t'avvicini a questa,
  poveri i tuoi capelli! Avrai da urlare!
(L'arciere scappa)
COMMISSARIO:
  Ahimè! L'arciere m'ha piantato. Eppure
  tollerar non si può che delle femmine
  ci debban sopraffare!
  (Rivolto agli altri arcieri)
  In fila, oh Sciti!
  Avanti!
LISISTRATA:
  Ora vedrete! Abbiamo quattro
  squadre di donne battagliere, armate
  fino ai denti, perdio!
COMMISSARIO:
  Sciti, legate
  le mani a tutte!
LISISTRATA:
  O femmine alleate,
  correte fuori, cavolcecivendole,
  aglicivaievinopanivendole,
  tirate o no, picchiate o no, bussate
  o no, lanciate contumelie o no,
  vi comportate da sfrontate o no?
(Le donne si precipitano sul commissario e gli arcieri, e in un
batter d'occhio li riducono a mal partito)
LISISTRATA:
  Indietro! Ferme! Non si fa bottino.
COMMISSARIO:
  Eh, questi arcieri son conciati bene!
LISISTRATA:
  Cosa credevi? Di venire addosso
  a tante serve? O pensi che alle donne
  non bolla il sangue?
COMMISSARIO:
  E come, per Apollo!
  Massime se vicino c'è una bettola!
(Le donne si ricompongono in fila. Anche lo Scita e gli arcieri
alla meglio si ricompongono)

...

COMMISSARIO:
  Di certo; e prima ad esse questa domanda io faccio:
  Con qual disegno avete sbarrata a catenaccio
  la nostra cittadella?
LISISTRATA:
  Per tenerci al riparo,
  e ogni cagion di guerra cosí tôrre, il denaro!
COMMISSARIO:
  Che, le guerre si fanno pel denaro?
LISISTRATA:
  E a scompiglio
  va tutto! Per avere dove allunghin l'artiglio,
  Pisandro, e quanti ai pubblici uffizi hanno la mira,
  rimestan sempre brighe. Faccian quel che gli gira!
  Ma su questi quattrini niun farà piú man bassa.
COMMISSARIO:
  No? Che farai?
LISISTRATA:
  Lo chiedi? Noi terremo la cassa.
COMMISSARIO:
  Tesoriere voialtre?
LISISTRATA:
  Noi, sí: qual meraviglia?
  Non s'amministra pure la cassa di famiglia?
COMMISSARIO:
  Non è lo stesso!
LISISTRATA:
  Come, non è lo stesso?
COMMISSARIO:
  Con
  quei quattrini bisogna far la guerra.
LISISTRATA:
  Ma non
  c'è obbligo, di farla, la guerra!
COMMISSARIO:
  E come vuoi
  che ci si salvi, allora?
LISISTRATA:
  Vi si difende noi.
COMMISSARIO:
  Voi?
LISISTRATA:
  Noi.
COMMISSARIO:
  Miseria nostra!
LISISTRATA:
  Staremo a tua difesa,
  pur se non voglia.
COMMISSARIO:
  È troppo grossa!
LISISTRATA:
  Te la sei presa?
  Tanto, bisogna farlo!
COMMISSARIO:
  Che bella prepotenza!
LISISTRATA:
  Staremo a tua difesa.
COMMISSARIO:
  Ma se vo' farne senza!
LISISTRATA:
  Allora, a cento doppi.
COMMISSARIO:
  Come vi salta in testa
  d'intrigarvi di guerra e di pace?
LISISTRATA:
  Odi.
COMMISSARIO:
  Lesta,
  se non ne vuoi toccare!
LISISTRATA:
  Attento, dunque; e tieni
  le mani a posto.
COMMISSARIO:
  Farlo! Come vuoi che mi freni,
  con la bile ch'ò in dosso?
LISISTRATA:
  Tanto peggio per te.
COMMISSARIO:
  Per te, vecchia cornacchia! Vuoi parlare?
LISISTRATA:
  Altro che!
  Nella trascorsa guerra, con la nostra saviezza,
  quanto facevan gli uomini patimmo lunga pezza.
  Già non ci lasciavate aprir bocca! Contente
  di voi, non s'era certo. Pur, si stava al corrente
  di quel che facevate. E quante e quante volte,
  stando in casa, s'udivano le decisioni stolte
  prese da voi su qualche affar di gran momento.
  Col riso su le labbra, con l'anima in tormento,
  vi chiedevam: «Che avete deciso stamattina
  su la pace? Che cosa dirà la colonnina?» -
  «E tu, che cosa c'entri? - rispondeva il marito -
  Vuoi star zitta?» Ed io, zitta!
VINCIBELLA:
  Di' che avessi obbedito
  io!
COMMISSARIO:
  Se non obbedivi, assaggiavi il bastone!
LISISTRATA:
  E dunque, in casa e zitte! Qualche altra decisione
  ci giungeva all'orecchio, dell'altre piú funesta,
  e chiedevamo: «Sposo mio, cosí senza testa
  fate le cose?» E lui, guardandomi in tralice:
  «Bada al telaio, o povere le tue spalle! S'addice
  agli uomini, il pensiero della guerra!»
COMMISSARIO:
  Ben detto,
  sangue di Giove!
LISISTRATA:
  Come bene, se, maledetto,
  neppure potevamo dare un consiglio a voi,
  cosí mal consigliati! Ma quando udimmo poi,
  dire un per via: «Rimasto non c'è uno uomo in paese!»
  e un altro: «Neppur uno, perdio!», tosto si prese
  il partito, noi femmine raccolte in assemblea,
  di trarre in salvo l'Ellade. Che mai piú s'attendea?
  Noi non diremo dunque cosa che non profitti:
  se a vostra volta udire volete, e stare zitti,
  vi si rimette in piedi.
COMMISSARIO:
  Voi di tanto capaci?
  Troppo grossa, l'hai detta, non la mando giú.
LISISTRATA:
  Taci.
COMMISSARIO:
  Tacere perché l'ordini tu, cuffiaccia? Ah, ch'io muoia
  su l'istante, piuttosto!
LISISTRATA:
  La cuffia, ti dà noia?
LISTRATA:
  La cuffia, ti dà noia?
  Stretta
  Prendila tu, ché non te la ricuso,
  cingine il capo; e zitto e buci; e busca
  questo cestello; e succingi le gonne,
  dipana il fuso,
  rosicchia fava brusca:
  e alla guerra ci pensano le donne.
(Durante questi ultimi versi, infila la cuffia, e dà il cestello
al commissario che rimane cosí camuffato. Applausi delle donne)
...

COMMISSARIO:
  Non è grossa che ciancino di bacchiar, di gomitolo?
  Che, nella guerra, loro c'entrano?
LISISTRATA:
  A doppio titolo
  e piú, c'entriamo! Prima, v'abbiamo partoriti
  i figliuoli; mandati, quindi, li abbiamo opliti.
COMMISSARIO:
  Non ricordar malanni, zitta!
LISISTRATA:
  Quando diritto
  s'avrebbe poi di trarre dai freschi anni profitto,
  grazie alle vostre zuffe, dormiam sole solette.
  E non badate al caso nostro: le giovinette
  mi fan pena, che invecchiano dentro casa.
COMMISSARIO:
  Che, dunque
  gli uomini non invecchiano?
LISISTRATA:
  Ci corre! Può chiunque
  beccarsi una ragazza, pure se bianco ha il crine;
  ma per la donna, il tempo propizio ha presto fine:
  s'ella non approfitta della sua gioventú,
  resta a tirare oroscopi, nessun la sposa piú.
COMMISSARIO (Ai vecchi): Controstretta
  Qui, se c'è alcuno che tuttora rizza...
LISISTRATA:
  Coso, che pensi? Che indugi a crepare?
  Pronto è il porcello, non mancano bare.
  Ti voglio io stessa impastare la pizza
  col miele... e prendi, per cinger la fronte!
(Gli offre una benda funeraria)
VINCIBELLA:
  Ed io con acqua lustral ti cospargo.
MIRRINA:
  Questa corona da me pure accetta.
LISISTRATA:
  Che vuoi? Che cosa ti serve? Caronte
  ti chiama. Alla barca t'affretta!
  Te solo attende, per prendere il largo!
COMMISSARIO (Camuffato oramai da defunto):
  Che indegnità, trattarmi a questo modo!
  Ora corro dagli altri commissari,
  e fo vedere come son ridotto.
LISISTRATA:
  Ti lagni, di', che non ti abbiamo esposto?
  Fa' passare i tre giorni, e ai primi albori
  ti faremo l'esequie: è tutto pronto!
(Lisistrata rientra, seguita dalle compagne, e chiude la porta.
Rimangono di fronte i due Cori, di vecchi e di vecchie)

...

Lisistarta, Aristofane, 411 A.C

mercoledì 7 gennaio 2009

Verbale (parte 3)



Pinzimonio femminile - Vademecum per uomini



 LA DONNA SEDANO.
Altissima e allampanata. Tutte le volte che in auto sale dietro, poi ci vogliono minimo dieci minuti per disincastrarla e tirarla fuori. Di carnagione chiara, in inverno tendente al verde campus, la donna sedano mostra uno stile e uno charme invidiabili. Anche vestita di stracci fa sempre la sua porca figura.E' l'unica donna verdura che può permettersi gioielli vistosi e anelli da più di tre etti. Meglio se di antica tradizione Maya. L'unico neo: la criniera, costantemente in tumulto, domabile soltanto a suon di chignon e abili incastri di matita. Se frullata da sapienti mani d'amante sa essere molto afrodisiaca.



LA DONNA CIPOLLA.
Pallida e decisamente fuori taglia, sprovvista totalmente del punto vita, piange da anni sulle sue miserie. Ed è per questa tendenza alle lacrime che molti uomini non riescono a digerirla. Il maschio predilige la donna cipolla di Tropea, meridionale, sana, saporita. La donna cipolla patisce il freddo e si veste a strati. Se non si ha molto tempo a disposizione, meglio evitare di chiederle lo spogliarello. È tenera, ha qualche problema di alito, è affezionata alle sue radici e usa da sempre lo stesso profumo. Un filino impegnativo, per la verità.



 LA DONNA CARCIOFO
.
Capello corto, energica, pugnace, senza fronzoli, temprata dalle bufere della vita, sembra fatta solo di gomiti. Reginetta dello stile minimal, principessa del tailleur e del décolleté tacco basso, richiede accanto a sé un uomo temerario e paziente. Che non abbia paura di pungersi. Se spogliata della sua ispida corazza mostra un cuore di femmina tenero e affettuoso. Non chiedetele di depilarsi. La sua intimità è irsuta e selvaggia. Cruda lascia l'amaro in bocca, allappa i cuori degli amanti, ma cotta al lento fuoco della passione, con un po' d'aglio e soprattutto a testa in giù, diventa morbida come burro.Le carciofe romane sono le migliori.



 LA DONNA PATATA.
La donna patata è un po' pirla. Diciamocelo. Sarà che ha la pelle sottile e ci vuole un niente a ferirla. Se si innamora è fritta. O bollita. Dipende dai momenti. È una fuoriclasse in materia di cotte. Può levarsi la pelle, per amore. Quando si incapriccia di un maschio si abbandona ciecamente tra le sue braccia, si sottomette, diventa arrendevole ed è in grado di farsi schiacciare fino a ridursi a purea. Le donne patata americana sono le più resistenti. Le puoi ferire disprezzare, abbandonare.Ma loro son tenaci. Con un pò di luce e di acqua sono in grado di germogliare per tutta la vita.



 LA DONNA FINOCCHIO.
Precisiamo. Esistono al mondo donne finocchio-femmina e donne finocchio-maschio.Quest'ultimo è un caso che non ci riguarda (chiedete a Platinette). La donna finocchio-femmina è spesso incinta. Ed è un' ottima madre. Solida e protettiva. Devi avere pazienza se vuoi arrivarle al cuore. Ma niente smancerie. Tocca toglierle con calma tutte le difese, strato dopo strato. Non è fatta per i sentimenti focosi e le notti calienti. Va amata cruda. Mordicchiata un po' alla volta. Pur essendo grassoccia, è tosta e tonica. Non ci ha un filo di cellulite. Amare una donna finocchio fa bene alla salute. Libera dalle scorie e non appesantisce lo stomaco.



 LA DONNA RAVANELLO.
Piccola di statura, veloce di pensiero, disillusa di cuore. In qualsiasi situazione trova il modo di arrangiarsi. È spiritosa e sagace. Disordinata, non ama le convenzioni e detesta le interminabili sedute dal parrucchiere. Per fare prima si tinge la chioma in casa, da sola, a suon di henné. Vista l'imperizia, il risultato è spesso una stravagante nuance ravanello pallido. Gli uomini la credono fragile e indifesa, e pensano di portarsela a letto facilmente. Illusi. Basta un morso per capire quanto è forte. Non sa cosa siano le cotte, lei.



 LA DONNA CAROTA.
Non bellissima ma a suo modo affascinante, alta e snella, si abbandona difficilmente alle lusinghe dell' amore. È timida, riservata e un po' paurosa. Detesta le mondanità e preferisce stare rintanata in casa...ne ha vistedi cotte e di crude...non vorrebbe fare la stessa fine. È necessario raschiarle di dosso con amore tutte le schifezze della vita perché si conceda in tutta la sua bontà. Se con costanza si riesce a grattugiarle il cuore, diventa deliziosa.La donna carota si abbronza facilmente e ci ha dieci decimi di vista. Non fatela ardere tanto prima di divorarla.Troppo cotta sa di poco 



LA DONNA ZUCCHINA.
Alta o bassa,lotta sovente con problemi di  cervicale o ernie del disco.E' cresciuta storta, colpa della cattiva postura e delle cattive compagnie. Da giovane era un fiore. S'è fatta sbattere e farcire in tutti i modi, e così è appassita presto. Rimane una donna tenera, ma tocca ammettere che non sa di tanto. È tormentata dall' ansia ed è costretta a ripetute visite alla toilette per veloci pipì. Deve tuffarsi in un amore denso e pesante come la pastella per riacquistare sapore. O friggere nell'olio. Completamente panata. 



LA DONNA POMODORO
.
Altro che femmina senza sapore. La donna pomodoro è piena di sugo. È un concentrato di gioia allo stato puro. Morbida e soffice,sembra fatta di materasso. D''estate dà il meglio di sé.E poi col tempo si conserva.Anzi. Vecchia vecchia e secca secca, se condita con gli ingredienti giusti dell'amore, diventa appetitosa e sfiziosissima. Non è fatta per i lunghi corteggiamenti. Dev' essere cotta e mangiata. O cruda e mangiata. Va bene ugualmente.Le donne pomodoro migliori sono quelle dal cuore di bue, portate per le storie d'amore imponenti e durature.Solo talvolta si inacidiscono.Colpa del cattivo tempo...si sa che le donne pomodoro sono meteoropatiche...ma non è un problema.Basta un cucchiaino di zucchero e tornano dolci come sempre.



 LA DONNA PEPERONE.
Non è una donna normale. È quel che si dice un bel donnone. Grande e grosso. Piedoni, manone, tettone. E culo monumentale.Roba da meritarsi il codice di avviamento postale. Buona, per carità... ma pesante da reggere. Soprattutto nelle storie d'amore. Solo uomini con lo stomaco di ferro sono in grado di digerirla. È testona, ostinata, invadente. E persino troppo fedele. È difficile liberarsi di lei. Abbandonarla al suo destino. Perché lei ritorna sempre. Ritorna e ritorna.Non c'è modo di cacciarla via.
Le cugine piccole, le peperoncine, sono più brillanti. Loro, sì, che son capaci di godersi la vita... a letto fanno fuoco e fiamme. Sanno pizzicare nel giusto modo i palati maschili, ardono di passioni brucianti e di attrazioni fatali.



LA DONNA INSALATA
.
Frivola e anche un po' superficiale, della donna insalata ci si innamora facilmente. Perché è la quint'essenza della femmina. Carina, volubile, spensierata, capricciosa. Ma è meglio non fidarsi... È infedele per na­tura. Passa da un letto all' altro con una leggerezza invidiabile. Basta un po' di calore per renderla tenera. Forse perché è una femmina con poca sostanza. O forse perché ha scoperto che nella vita è meglio fermare gli istanti migliori senza farsi troppe domande.Di solito la donna insalata va molto d'accordo con la donna pomodoro.Sono amiche per la pelle. Di tutt' altra risma, la donna insalata belga. Come dire... la classe non è acqua... L'età le ha, sì, imbiancato i capelli, ma le ha donato uno charme quasi magnetico. Sarà quel suo retrogusto amaro, di chi ha cono­sciuto gli inganni della vita, a renderla così desiderabile."



L. Littizzetto da "La principessa sul pisello"


Verbale (parte 2)


Attenti alle streghe

Nelle fiabe le streghe portano sempre ridicoli cappelli neri e neri mantelli, e volano a cavallo delle scope.

Ma questa non è una fiaba: è delle STREGHE VERE che parleremo.

Ci sono alcune cose importanti che dovete sapere, sul loro conto; perciò aprite bene le orecchie e cercate di non dimenticare quel che vi dirò.

Le vere streghe sembrano donne qualunque, vivono in case qualunque, indossano abiti qualunque e fanno mestieri qualunque.

per questo è così difficile scoprirle.

Una VERA STREGA odia i bambini di un odio così feroce, furibondo forsennato e furioso da non poterselo immaginare.

E infatti passa tutto il suo tempo a escogitare nouvi modi per sbarazzarsi di loro. Il suo più grande divertimento è farli fuori ad uno ad uno; non pensa ad altro, dalla mattina alla sera.

Che faccia la cassiera ad un supermercato o la segretaria in ufficio, oppure che guidi un'automobile di lusso, la sua mente continua instancabile a inventare, rimuginare, tramare, progettare, elaborare, piani sanguinosi.

Mm vediamo...a quale bambino posso far la festa oggi?, si chiede, giorno dopo giorno.Perchè una vera strega, quando passa al tritacarne un ragazzino, è soddisfatta come me o come voi quando mangiamo fragole con panna. Il suo sogno è far sparire almeno un bambino alla settimana . E se non riesce a mantenera il ritmo è di passimo umore.

Fate un pò il conto: un bambino alla settimana vuol dire cinquantadue bambini l'anno!

"Spiaccicati, stritolati

ben tritati poi frullati

e oplà...eccoli spariti"

Questo è il motto delle streghe!

Per prima cosa la strega scieglie con cura la sua vittima. Poi la segue silenziosamente, come un cacciatore che fa la posta a un uccellino, nel folto di un bosco. Cammina a passi felpati, piano, senza rumore. Si avvicina a poco a poco, sempre di più...ecco, ora è pronta...e zum! Piomba sulla preda! Volano scintille, crepitano le fiamme, l'olio bollente borbotta, la pelle si raggrinza....e il bambino non c'è più.

Cercate di capire: una strega non picchia i bambinie neppure li sbudella a coltellate, nè li uccide a colpi di pistola. La gente che si comporta così prima o poi viene arrestata dalla polizia.

Una strega, invece, non finisce mai in prigione.

Non dimenticate che ha la magia fin nella punta dellle dita e il diavolo nel sangue! E' capace di far saltellare i sassi come ranocchie e di trasformare l'acqua in fuoco. Ha poteri spaventosi!

Al giorno d'oggi, per fortuna, le VERE STREGHE non sono poi molte, ma ne restano abbastanza per far rabbrividire di paura qualunque bambino. In Inghilterra, per esempio, se ne contano almeno un centinaio. In altri paesi sono di più, in altri di meno, ma non vi è luogo al mondo che non abbia le sue.

Le streghe sono tutte donne.

Non voglio parlar male delle donne. in genere sono adorabili. Ma tutte le streghe sono donne: è un fatto.

D'altra parte i vampiri e i lupi mannari sono invariabilmente uomini. Gli uni e gli altri sono pericolosi, è vero, ma una strega lo è almeno il doppio.

E comunque una vera strega rimane, per i bambini, la più pericolosa delle creature. Quel che la rende doppiamente temibile è il suo aspetto del tutto inoffensivo. Anche quando conoscerete i suoi più riposti segreti (abbiate pazienza tra poco ve ne parlerò) non riuscirete mai a sapere con certezza se quella che avete davanti è un'autentica strega o una signora gentilissima 

Persino la vostra vicina di casa potrebbe essere una strega.

e così pure la bella ragazza che stamattina sedeva di fronte a voi in autobus, o la signora sorridente che vi ha offerto una caramella mentre tornavate da scuola.

E'forse una strega (adesso farete un salto sulla sedia!) anche la vostra cara maestra che proprio ora legge ad alta voce queste righe. Guardatela bene. Sicuramente sorride, come se un'idea del genere fosse ridicola. Ma non lasciatevi ingannare: è abilissima sappiatelo.

Roald Dahl, Le streghe

Verbale Parte 1


« ποικιλόθρον' ἀθανάτ' ΑΦρόδιτα,
παῖ Δίος δολόπλοκε, λίσσομαί σε,
μή μ' ἄσαισι μηδ' ὀνίαισι δάμνα,
πότνια, θῦμον,

ἀλλὰ τυίδ' ἔλθ', αἴ ποτα κἀτέρωτα
τὰς ἔμας αὔδας ἀίοισα πήλοι
ἔκλυες, πάτρος δὲ δόμον λίποισα
χρύσιον ἦλθες

ἄρμ' ὐπασδεύξαισα, κάλοι δέ σ' ἆγον
ὤκεες στροῦθοι περὶ γᾶς μελαίνας
πύπνα δίννεντες πτέρ' ἀπ' ὠράνωἴθε-
ρος διὰ μέσσω.

αἶψα δ' ἐξίκοντο, σὺ δ', ὦ μάκαιρα,
μειδιαίσαισ' ἀθανάτωι προσώπωι
ἤρε' ὄττι δηὖτε πέπονθα κὤττι
δηὖτε κάλημμι

κὤττι μοι μάλιστα θέλω γένεσθαι
μαινόλαι θύμωι. τίνα δηὖτε πείθω
ἄψ σ' ἄγην ἐς σὰν φιλότατα;τίς σ', ὦ
Ψάπφ', ἀδικήει;

καὶ γὰρ αἰ φεύγει, ταχέως διώξει,
αἰ δὲ δῶρα μὴ δέκετ',ἀλλὰ δώσει,
αἰ δὲ μὴ φίλει, ταχέως φιλήσει
κωὐκ ἐθέλοισα.

ἔλθε μοι καὶ νῦν, χαλέπαν δὲ λῦσον
ἐκ μερίμναν, ὄσσα δέ μοι τέλεσσαι
θῦμος ἰμέρρει, τέλεσον,σὺ δ' αὔτα
σύμμαχος ἔσσο. »


« Immortale Afrodite, tessitrice

d'inganni, dal bel trono variegato,

ti supplico, non mi straziare l'animo

d'amara pena ;

vieni qui, veneranda: già in passato

udisti i miei lamenti e di lontano

lasciando l'aurea casa di tuo padre

quaggiù venivi

dopo aver aggiogato il carro, e belli

leggeri passeri sopra la terra

ti scortavano in volo dispiegando

le fitte ali

rapidi qui giungevano, e , beata,

sorridendo nel tuo volto immortale

mi chiedevi "Di che pena soffrendo

mi hai invocata?

che cosa brama ancora il folle cuore?

Chi devo, Saffo, ancora persuadere

a darti ricompensa nell'amore?

Chi ti fa male?

Se adesso fugge, poi ti cercherà;

se sdegna i doni, presto ne farà;

se non ti ama, presto ti amerà,

seppur non vuole"

Torna da me diletta, e dalle pene

acerbe scioglimi, esaudisci il cuore

in ciò che brama, siimi di nuovo

fida alleata»

SAFFO