martedì 27 aprile 2010

THE LITTLE WHITE DOVE


Eccovi una storiella un po' psico-psyco!

THE LITTLE WHITE DOVE

Erano tutte molto belle. Belle di quella bellezza rotonda e morbida che mischia fattezze infantili a tratti sensuali. Belle, con le loro bocche rotonde che sembravano fatte più per elargire piacere che per parlare. Belle di quella bellezza fresca e rosea che esprime solo innocenza.

Belle come bambole.

Lui le amava. A modo suo le amava davvero, più di quanto nessun uomo potrebbe mai amare una donna. Le amava e le desiderava con un’intensità quasi dolorosa, come un collezionista ama i pezzi della sua collezione e freme di desiderio quando ne trova uno mancante.
Dunque lui le amava, ed il fatto che le seviziasse e le uccidesse era qualcosa di marginale. Era necessario, come è necessario per un bambino staccare la pellicola alle figurine per appiccicarle sull’album da collezione. Anzi, il massimo piacere della sua raccolta in realtà si estingueva con quello: col farle proprie, col renderle inutilizzabili a qualsiasi altro scopo. Dopo tutto le amava come si possono amare gli oggetti, e dunque non vedeva nulla di male nell’usarle, nel servirsene fino alla consunzione… e loro… loro erano così morbide, così squisitamente delicate, non urlavano nemmeno, gemevano solo, inerti, impotenti fra le sue braccia prima di spegnersi.
Avvicinarle era così facile, piccole ed ingenue, sembravano volere come rondini tra le sue braccia, e quando lui le prendeva non si opponevano. Non si ribellavano, non tentavano di fuggire… supplicavano, piangevano e mentre lui le legava non facevano altro che implorarlo con lamenti soffocati, dolci come il miele.
Poi, quando aveva finito rimanevano zitte, immobili, bianche come porcellana. Proprio come bambole.
Bambole usate.
Allora lui le prendeva, le metteva nel forno, e quando diventavano cenere era ora di prendere una bambola nuova.

Solo una volta qualcosa era andato storto. Loro erano in due, due sorelle gemelle. Bamboline deliziosamente uguali. Lui aveva terminato con la prima e stava giusto cominciando con la seconda, quando qualcuno aveva suonato alla porta. Si era assentato un momento e quando era tornato una delle piccole semplicemente non c’era più.
Una era lì dove l’aveva lasciata, ma l’altra non c’era più.
Era rimasto molto frustrato dalla vicenda, frustrato come il collezionista che dopo aver trovato due pezzi gemelli ne perde uno senza motivo spiegabile. Era stato questo a turbarlo più di tutto, più del fatto che la piccola avrebbe potuto andare alla polizia e denunciarlo. Anzi a dire la verità l’idea non lo aveva nemmeno sfiorato: dopo tutto era una bambola, pensare a lei come un essere capace d’azione gli veniva impossibile. Ma il problema restava: aveva perso un pezzo della sua raccolta, e questo non poteva tollerarlo.

La detective Flora Perichetti non si reputava un tipo insensibile, eppure in quel momento avrebbe volentieri preso a schiaffi le rosee gote della ragazza che le stava davanti. Prese fiato e si impose di mantenere la calma.
“Sei sicura che non ricordi nulla, Selina?” chiese con la voce più dolce del suo repertorio, nel vano tentativo di mettere la giovane a suo agio. Selina, senza alzare gli occhi enormi ed azzurrissimi dal pavimento scosse per l’ennesima volta la testa in un vortice di boccoli biondi. “Qualunque cosa tu ti ricordi potrebbe aiutarci a trovare l’assassino di tua sorella!” insistette gentilmente Flora. Selina questa volta non si mosse, rimase a fissare ostentatamente il pavimento. Flora strinse i denti: ci stava da ore e non era riuscita a cavare il ragno dal buco! Selina non parlava. Si limitava a guardarsi intorno con quei suoi occhi disperatamente grandi e saltuariamente a scuotere la testa. Come se la cosa non la interessasse, come se non vedesse l’ora di andarsene da lì, come se Flora al posto di aiutarla la stesse torturando.
La giovane detective dai capelli neri si alzò ed uscì dalla camera. Nel corridoio dell’ospedale la aspettava il suo collega, Drederik Trump. Drederik conosceva Flora abbastanza bene da capire che non era il caso di chiedere come fosse andata, così si limitò a seguirla mentre lei marciava furibonda lungo il corridoio.
Flora si fermò nell’anticamera dei bagni, che era deserta; Drederik la raggiunse preparato al peggio.
“Credo che…” cominciò a dire, ma Flora gli impedì di continuare.
“Porca di quella grandissima puttana!” ringhiò fuori di se dalla rabbia “E’ possibile che dopo anni che gli stiamo inutilmente alle costole, quel grandissimo bastardo fa un errore e…” Flora fu costretta a prendere fiato, rossa come il diavolo “ si fa scappare una vittima, una testimone che ha visto tutto e…” le parole le mancarono ancora, perché nessuna le pareva sufficiente a descrivere l’assurda ironia della situazione ”E quella…quella… QUELLA… non parla!” Drederik prese fiato
“Devi capirla, Flora, è sotto shock, ha visto massacrare sua sorella…” Flora Persichetti grugnì
“Appunto! L’ha visto che le ammazzava la sorella, porca puttana! Chi più di lei dovrebbe volere quel pezzo di merda in galera!?” Flora fissava Drederik con tanta intensità da spingerlo a tacere “Anzi! Dovrebbe volerlo morto!” riprese in fatti lei con ardore ”Stecchito, cadavere, cibo per i vermi! Fossi io non aspetterei altro che vederlo salire sul banco degli imputati per piantagli una pallottola in testa ed una in culo, Cazzo!” Drederik sospirò, questo non faticava ad immaginarlo: lavorava con Flora da tre anni ormai, e ne conosceva bene il carattere sanguigno ed impulsivo. Flora era una ragazza di fuoco e furia, piena di intuito e forza d’animo, una vera belva sul campo, anche se spesso queste doti le avevano attirato addosso montagne di guai. Ma Drederik sapeva come prenderla, per questo li avevano messi in coppia, lui riusciva sempre a calmarla. Anche se in questo caso particolare stava faticando più del solito e non capiva perché.
“E’ piccola, Flò! Devi concederle il tempo debito per assorbire il colpo!” Flora sbuffò ancor più irritata
“Piccola un cazzo! Ha diciotto anni! Siete tutti così comprensivi perché sembra una bambolina, se fosse un ragazzo non sareste tutti lì a reggerle il moccolo e l’avremmo già fatta parlare in un modo o nell’altro!” Drederik socchiuse gli occhi: ecco dov’era il problema! Era una questione di femminismo, terreno che con Flora era meglio evitare come se si trattasse di un mare di benzina per qualcuno con una candela accesa in mano. Ben conscio del fatto, Drederik non disse niente e Flora parve tentare di recuperare il controllo “Avevo diciassette anni quando mi sequestrarono!” disse poi col tono di chi sta chiudendo il dibattito “Avevo diciassette anni, ma quando c’è stato da muovere il culo non mi sono tirata indietro e…”
“sì, lo so Flò, lo so…” fece Drederik in tono stanco “Ma non tutti sono delle tigri della Malesia come te, alcuni di noi sono semplici esseri umani!” Flora sbuffò, ma parve ammansita, dopo tutto Dred sapeva prenderla per il verso giusto, sospirò, e quando parlò ancora era finalmente calma.
“Pensi che verrà a riprenderla?”
“Credo di sì!” fece Drederik
“Già…” sospirò Flora “Potrebbe essere la nostra occasione per beccarlo!”
“Potrebbe…”
“Chiederò al capo di assegnarci al servizio di protezione!” e ciò dicendo Flora Persichetti lasciò l’anticamera del bagno. Drederik Trump indugiò qualche istante, preoccupato, poi seguì la collega.

Drederik era seduto nella cucina dei Leincon, sorseggiava un caffè ed osservava la giovane collega misurare la stanza a grandi passi. Flora era così arrabbiata in quei giorni da apparire lei stessa un pericolo per Selina Leincon. Quando la incrociava per i corridoi le lanciava sguardi di odio così profondo da impensierire seriamente. Come chiudere una colomba in gabbia con un puma perché la protegga dai gatti! Pensò Drederik.
L’uomo si era anche chiesto più di una volta se non fosse doveroso far togliere quel particolare caso a Flora. Dopo l’uccisione di Histwood era evidente che la ragazza era troppo coinvolta. Per colpa di quel maniaco aveva perso il suo mentore, ed era naturale che desiderasse più di ogni altra cosa vendicarlo. Se a questo si aggiungeva un carattere infiammabile come un’esca… Ma Drederik non voleva neanche prendere in considerazione l’eventuale reazione di Flora ad una destituzione. Dopo tutto anche lui voleva il bastardo in galera, e nessuno meglio di loro due era in grado di beccarlo!
Se solo la ragazza avesse dato un qualche indizio, uno spunto dal quale partire, ma se Flora sembrava ogni giorno che passava sempre più simile ad una belva feroce, dal canto suo Selina appariva come un fantasma. Bianca, muta si aggirava per la casa silenziosa come un’ombra, gli occhi enormi sempre a terra. Drederik proprio non capiva come quell’esserino spaurito, quella colomba con le ali bagnate dall’acquazzone potesse suscitare l’odio di qualcuno.
Eppure Flora odiava Selina. La odiava profondamente e la odiava proprio per la sua aria dolce, delicata, per quell’innocenza portata all’iperbole, per i suoi occhi troppo azzurri, le sue labbra troppo rosee, le sue guance troppo lisce. Selina era per Flora la rappresentazione fisica della debolezza femminile. Selina raccoglieva in se tutti i luoghi comuni della ragazza candida e debole, la donna passiva bisognosa di protezione, incapace alla vita autonoma. Quando la vedeva passare, gli occhi bassi e le morbide labbra chiuse sulla soluzione di quel caso tanto vitale, avrebbe voluto prenderla per le spalle e scuoterla abbastanza forte da farle sputare fuori quel che sapeva!
Ma non poteva! sapeva di non potere…
…eppure quando vide la piccola colomba scendere le scale che andavano nel seminterrato…
La seguì.
La seguì e quando l’ebbe raggiunta le si parò davanti, in faccia l’espressione decisa con cui faceva tremare anche i criminali più feroci.

Drederik percepì che qualcosa non andava: Flora era via da troppo tempo. Di solito, agitata com’era faceva il giro della casa molto velocemente e poi tornava in cucina, solo per poi uscirne quasi subito. Ora invece era via da almeno venti minuti. Drederik si alzò e lasciò la stanza, preoccupato. Non tanto dal fatto che fosse successo qualcosa a Flora, quanto perché Flora non stesse facendo succedere qualcosa a qualcun altro. Quando arrivò alle scale che portavano al seminterrato vide Selina salire di corsa e scappare lungo il corridoio, con le lacrime agli occhi. Capì di essere arrivato tardi.
Subito dopo apparve Flora. Sembrava stordita, guardò Drederik con aria imbambolata
“Allora…” la interrogò lui un po’ seccato “Almeno ha carpito qualche informazione utile a quella povera ragazza coi tuoi metodi da gestapo!?”
“Eh!?” chiese Flora come se fosse persa da qualche parte
“Sei riuscita a farla parlare!?” ripetè Drederik. Flora rimase ancora un secondo imbambolata, poi scosse la testa
“No…” disse “Ciò è, sì… non… “ trasse un profondo respiro di rammarico “non ha visto niente…” sembrava che si fosse presa una botta in testa. Forse, pensò Drederik era la delusione per quanto aveva scoperto
“Com’è scappata!?” Flora scosse ancora la testa
“Non… non si ricorda… lui… le stordisce col cloroformio…” Flora trasse un altro profondo respiro, poi, finalmente parve tornare in se “Mi serve un caffè coi contro cazzi, Dred!” disse esausta.

Fu proprio quella sera che Selina sparì dalla sua camera. Trovarono la finestra spalancata, le tendine bianche che sventolavano seriche nella notte, un sottile odore di cloroformio nell’aria.
Drederik Trump era sconvolto.
Ma Flora Persichetti… non sembrava neppure più Flora Persichetti.
Una volta aperta la camera, la madre di Selina che già si precipitava sul balcone urlando, Flora rimase immobile sulla soglia. Sembrava incapace d’azione. Proprio lei che era sempre la prima a gettarsi nella mischia, ora restava pietrificata, trattenuta da chi sa quali corde invisibili e potentissime. Sopraggiunse il padre di Selina.
“Eri tu di guardia fuori!” Urlò alla volta di Flora “C’eri tu di guardia!” Flora non si muoveva. Non si mosse nemmeno quando il padre di Selina la afferrò per il bavero e le urlò in faccia la sua rabbia disperata. Anche allora Flora si limitò a voltare la testa.
Dovette intervenire Drederik per separarli.




Di come Selina ricomparve il giorno successivo si può leggere sui giornali. Di ciò che disse, asserendo di non ricordare nulla di ciò che era avvenuto se non la strada che portava al luogo dove Lui nascondeva le sue vittime.
A nulla valsero le indagini della polizia su quel luogo maledetto, sul forno, sugli oggetti che usava per torturare le ragazze… non venne trovato alcun indizio che aiutasse a svelare il mistero o indicasse la via da seguire per trovare il serial killer. Era semplicemente sparito. E non sarebbe più ricomparso.
Quanto alla sorte del detective Flora Persichetti, il fatto che la sua negligenza sul campo non avesse comportato danni irreparabili non venne molto considerato. La giovane fu trasferita alla stradale e dovette sudare parecchio per riconquistare un posto che ritenesse degno di lei… dovette sudare davvero parecchio, anche se non se ne lamentò mai.


“Io e te siamo molto diverse per certi aspetti!”
Flora trasalì, nella semioscurità dello scantinato: non si era aspettata che Selina le parlasse… almeno non subito. E non si era aspettata da lei quel tono, sottile e tagliente come una lama troppo affilata.
“Tu porti il cuore sul bavero, gridi, ti lanci in avanti, sei per il faccia a faccia, bruci come un sole!” Selina sospirò “io… io invece mi muovo nell’ombra. Nel silenzio della notte, al buio… questo non significa che io e te non la pensiamo nello stesso modo… o che io sia meno efficace di te…” Selina sorrise e Flora provò un brivido lungo la schiena “Io non voglio che venga catturato!” riprese poi “Non voglio vederlo blandire la giuria o coprire d’oro avvocati senz’anima… non voglio nemmeno vederlo dietro le sbarre.”
“Ha ucciso mia sorella. L’ha torturata. Sotto i miei occhi, poi l’ha uccisa. Io voglio vedere il terrore nei suoi occhi mentre esala l’ultimo respiro! Voglio che guardi la sua bambolina piccola ed indifesa prendere il suo posto. Voglio vedere sul suo volto l’orrore che lui ha visto su quello di mia sorella!” Selina si fermò un istante. Non sembrava alterata, era calma e posata tanto da far paura…
“Ma per fare questo ho bisogno del suo aiuto detective Persichetti!!
Ho bisogno che tu sia più disattenta, diciamo distratta durante il tuo turno… perché vedi, lui è lì… lì fuori che aspetta solo questo, aspetta l’occasione giusta… e tu sei troppo brava nel tuo mestiere e non gliela stai dando… capisci cosa intendo!?” Flora indugiò, stordita. Selina si era trasformata sotto ai suoi occhi da angelo spaurito in demone velenoso… e quel demone… quel demone le stava offrendo la madre di tutte le tentazioni!
Non la gloria della cattura.
No, non la ribalta del trionfo.
Qualcosa di nascosto e subdolo, qualcosa che lei desiderava ardentemente dal giorno in cui Lui aveva ucciso il suo mentore. L’uomo che primo fra tutti le aveva dato fiducia.
Il demone le offriva una gelida vendetta.
“Come…” biascicò Flora senza più saliva “Come intendi fare!?” Selina sorrise un sorriso di dolcissima morte
“Tu sarai distratta… io lascerò la finestra aperta… Lui scivolerà nella mia stanza come la lumaca bavosa che è, sicuro di sé, certo che io sarò nel mio letto indifesa, piccola, tenera… ma io non sarò nel mio letto! Sarò dietro la tenda con questo!” Selina sollevò uno straccio da cui esalava un odore chimico “Cloroformio… lo stesso che usa lui!”
“ ma… ma poi… poi dovremo consegnarlo… arrestarlo…”
“No! Poi dovrò, e sottolineo il singolare, dovrò ucciderlo… non prima di avergli chiarito un paio di idee!”
“Ma poi così… sarai tu a finire in galera e…”
“Non credo proprio! Non io, non la colomba dagli occhioni azzurri!”
“I tuoi occhi azzurri potrebbero non esserti d’aiuto se esageri a chiarirgli le idee!” Selina sorrise ancora
“Esagererò quanto mi pare!” disse il tono ora leggermente stridulo “avrò tutto un giorno per esagerare!”
“Un giorno ma come credi di…”
“lo porterò via! Lo caricherò in macchina e lo porterò dove lui portò me e mia sorella… quando avrò finito quel che devo lo metterò nel suo utilissimo forno e me ne andrò… e puoi fidarti di me e dei miei occhioni azzurri se nessuno mi sospetterà mai di nulla!” Flora deglutì
“Ma io…”
“Tu mi aiuterai a portarlo fino alla macchina… dopo di che la storia non ti riguarda più!” Flora degluitì, pallida come un morto, poi lentamente, lentamente, come se a farlo non fosse proprio lei, ma qualcuno vicino, lentamente annuì.

Lui le amava. Certo, e loro in qualche modo dovevano amare lui. Pensava a questo guardando la finestra del suo balcone rimasta aperta. Lo amavano e lo desideravano come lui amava e desiderava loro… altrimenti perché invitarlo a quel modo, altrimenti perché abbandonarsi così tra le sue braccia. Scivolò nella stanza silenziosa con un sorriso deliziato e pensò che finalmente si sarebbero ricongiunti e che da lì a poche ore sarebbero stati di nuovo insieme nel suo nascondiglio e…
e…
e aveva assolutamente ragione!

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