Un baset e un strucon
Fuori dal Massimo, nel clima internazionale di questi giorni, tra cassonetti della raccolta differenziata sistemati davanti al cinema come monumenti alla Dea Ecologia, si aggira un individuo bizzaro, con una sciarpa pelosa di piumette colorate svolazzanti..
I suoi occhi mi sorridono, si avvicina e mi rivolge la parola.
Subito non capisco, parla veloce, in americano; mi sforzo di seguire prima che le brevi e rapide parole finiscano. Colgo e traduco mentalmente solo il termine della sua frase: lo fisso, vedo che mi tende una cartolina.
Mi spiega che è la locandina di un film su di lui e che lo stanno per proiettare in sala.
In testa all’immagine leggo il titolo scritto in caratteri gialli, solari; ci metto un po’ a realizzare che è proprio il documentario che ho scelto di vedere stasera.
Non ho ancora ben realizzato che ne è il protagonista, che è l’artista di cui ho letto nella micropresentazione che c’è sul programma della rassegna:
“Il racconto epico di John Paterson, anticonformista contadino del Midwest americano. Dopo la morte del padre, negli anni Sessanta, John trasforma la tradizionale fattoria di famiglia in un esperimento d’arte e agricoltura.”
Man mano che guardo il film, nel buio gremito di spettatori, capisco.
E’ lui il motore di tutta la luce che questo documentario emana. E’in sala, seduto una fila dopo la mia. Lo riconosco dalla sagoma, dal suo andare e venire dal posto che ha scelto per sedersi. Si alza, esce, rientra, ride prima che alcune delle scene siano comprese da tutti, sorride con la voce, conoscendo già ciò che sta per succedere nel film.
La sua storia è quella di un amore vero, da seguire, da curare, da coltivare. E’ l’amore per la terra e per i ricordi che ogni zolla porta con se’.
John è un viaggiatore nostalgico e irrequieto, quando fugge lontano dalla sua fattoria è solo per risentire- ogni volta- la spinta interiore del ritorno. Ritorno alle volte massacrante.
John è un artista: il che non significa solo aver fondato nel Settanta una comune; non significa solo produrre oggetti con materiale di recupero, fare teatro o cinema.
Il suo progetto attuale è sbalorditivo, le immmagini di persone di tutto il mondo che si recano alla fattoria di John parlano da sole.
John è un artista della Vita, della Natura, dell’esplosione solare che lo porta di volta in volta a recuperare sentimenti profondi. Come se dal suo buio non potesse che nascere sempre un luccichio.
Penso sia il documentario vittorioso.
Lo spero e aspetto le parole che mi permettano di raccontare a tutti la vita di un uomo con le antenne.
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