domenica 6 dicembre 2009

Compagne


Penso alla mia

di mamma.
Penso ai suoi insopportabili strilli
di quand'ero incerta sulle gambe.
Gli schiaffi.
I miei capricci.
Le filastrocche.
I miei capelli lunghi imprigionati
nella morsa stretta di una treccia.
Penso a tutti i suoi no.
Giusti. E sbagliati.
Inopinabili.
"Parchè?"
"Parchè l'è cusìtta!"

Tutto ciò che m'ha insegnato
mi rimbalzava sulle mani
permeandomi comunque.
La pazienza persa
desiderando per me
una vita migliore della sua
"Te dago un stramusson
che'l muro t'indà n'altro,
disea me nono"


Addestrata su come si governa una casa.

M'ha regalato questo suo sapere
imprecando contro i numi
del fuoco che non s'appiccica alla legna
ma divora la carta dopo una vita di digiuno.
A fare un letto da sposi,
di grandi lenzuola bianche
pulite, e che odorano
di buono e di mamma.
Un grande letto da sposi,
che non sarà mai mio.
Perché questa è l'eredità
che lascerai a mio fratello
e il dono che lui farà a te.

M'ha mostrato come

si disegnano gli occhi
di colori
per gioco e vanità.
E' sempre stata bella.
La più bella.
Ma sapevo già allora
che io
così tanto
mai.

M'ha insegnato ad amare

le pagine
dei russi
e dei grandi eroi.
A leggere e scrivere,

così da cominciare la scuola
che già sapevo
più di tutti gli altri bambini.
M'ha detto che se volevo essere
davvero libera
dovevo
studiare.
Ho studiato.

Da lei ho imparato

a reggere i ferri da maglia
saldamente
sotto l'ascella
e a danzare con l'indice

nell'intreccio automatico
come se un filo fosse fiume che scappa.

Mi ha preparata ad affrontare

da sola la disperazione dell'esistere,
senza dover chiedere a nessuno.
M'ha fatta diventare grande
d'improvviso

ficcandomi la testa nella vita
che ti toglie il fiato tutto d'un colpo,
guardandomi da troppo distante:
“Respira, ceo”.

M'ha indottrinato con le preghiere,

inginocchiata sui banchi della chiesa.
Quaresima.
Digiuno e Astinenza.
Dalle carni.
Tutte.
S'accendeva un lumino
“Che'l signor te jute”
mi diceva stringendomi la mano
scuotendo la testa.
Io guardavo la navata principale
e ne contavo le travi,
fingendo d'essere
posseduta da folgore divina
ma nelle circonvoluzioni del mio cervello
sfrecciavano tabelline
e l'odore dei prati quando rincorri una palla.

M'ha cantato sottovoce

le canzoni dei rivoluzionari,
le favole di un popolo unito
che mai sarà vinto.
M'ha insegnato il valore
della parola
COMPAGNA.

Che nella nostra lingua
che rimbalza di suoni aspri
sulle pendici dei boschi:
UGUALI.
Mi guardo allo specchio
e penso che
se anche ho fatto
tanto
per non assomigliarle,

mamma,
per sempre
io
e
te

COMPAGNE
.







Non ce l'ho con l'italiano dico solo che la lingua dell'esperienza non è fatta solo di ciò che comunichi ma di quello che senti dentro alle cose...


Nessun commento: