Sono almeno due giorni
che davanti a un foglio bianco
rovisto tra i tasti del computer.
Fiuto i ricordi
per inseguire le parole giuste.
Da raccontarlo.
Temo di non poter spiegare
le vene che pizzicano
i polmoni che si restringono
il fiato solido delle grida al cielo di Copenhagen
e il desiderio che attraversa le barriere
per arrivare al Bella Center.
Ho occhi e cuore di delusione
perchè coloro che dovrebbero essere grandi
non sono davvero all'altezza.
E' strano tornare.
E' strano avere un letto caldo
e un sacco di cose scontate
che scontate non sono.
Dovrei essere stanca.
Non ho dormito.
Ma sono i momenti così pieni da soffocarti
che ti caricano.
Troppi i pensieri
per il silenzio del sonno.
Sono tesa
ma ho imparato a non spezzarmi più.
Sono una nota di chitarra
troppo acuta
e che sfugge dalle sbarre
di un pentagramma
che vorrebbe ingabbiarla.
Posiamo lo zaino.
Casa.
Sempre troppo stretta.
Ora. Nessuno.
Prima una fiumana.
Ora. Silenzio.
Prima...
Sono un clown,
con la faccia dipinta,
un sole sull'occhio sinistro
e verde.
La bocca grande
in un perenne sorriso.
Mary che è alta tre volte tanto
lei valchiria
grande, solida
mi regala un naso rosso come lampone
che indosso davanti allo specchio.
Irrompiamo nelle ambasciate
fingendoci rifugiati climatici in cerca di un paese.
Nessun ambasciata ci vuole.
Qualcuno sulle scale grida
“Take a pictire on your mind
you'll remember this moment forever”
Freddo,
la notte decisa del Nord
tra briciole di stelle
noi
vicine
come nell'estate
come sempre
come un tempo che è al di là del tempo
che non finisce mai
perchè mai è iniziato
è solo un sempre.
Le mani mi fanno male,
ma fa più male
dentro al cuore che si spezza e singhiozza
quando i neri tutti incappucciati arrivano
sulla coda
per cominciare la sporca loro vigliacca lotta.
Boati.
L'odore dei fumogeni che pizzica le mucose retratte
un po' dal freddo
un po' dal bruciare.
Noi.
Grande gruppo di gruppi.
Siamo un organismo unito
ma duttile dentro ai tanti.
E la rabbia mi esplode con le molotov
quando capisco la nefandezza di quello che succede.
Sono neri
come lo sporco peggiore.
E si nascondono tra noi
porgendoci i passamontagna
nascondendo la faccia
tra le nostre sorridenti e pulite.
Scappano dalla responsabilità
delle loro azioni
e i più ne pagano le reazioni.
Fetore di viltà nella loro scia.
E non so se sono perle di rabbia
quelle che confluiscono ai bordi dei miei occhi
o conseguenza dei fumogeni.
Ascolto gli indios e una pacha mama
che chiede chi è davvero in debito con chi.
Abbiamo distrutto
rubato
succhiato via
la loro natura,
la sacralità della loro vita.
E per la nostra ridicola economia
li releghiamo comunque a debitori.
Sono in via di sviluppo.
Ma quale?
Quello nostro?
No grazie.
La sera torniamo al pavimento del nostro salone.
Sporco
puzzolente
tragicamente gelato.
Come bachi ci infagottiamo.
Tutte le cucine popolari vegane.
Mi tocca la sapienza delle combinazioni alimentari
e il giusto matrimonio tra i cibi.
Mi esalta il sapore delle radici di zenzero
tra le patate
e le carote
e lo scricchiolare sotto ai denti
dei semi di lino
nell'insalata di cavolo.
Mi commuove la fame.
Mia.
E nei volti dei Compagni.
E' una notte di sputi di stelle,
e macchie di nuvole
spinte altrove dalle eliche degli elicotteri
che volteggiano
l'indice puntato
è un faro
sui nostri pensieri e sui tetti di Cristiania.
Hanno incendiato le barricate
e muri di fumo ci isolano.
Molti sono spaventati.
Io vedo schiere di ragazzi vestiti di nero
dal volto coperto correre.
Vorrei picchiarli.
Altri corrono spaventati
come una mandria accalcati,
premuti dalla paura vestita in antisommossa
che marcia violando un'isola di pace.
Ci accerchiano.
Ci puntano sui volti le loro luci.
Ci scrutano dall'alto
calpestando tegole
e stagliandosi su un cielo così bello
che solo il freddo sa regalare
con tanta sapienza.
Mi sento vicina a tutti i compagni.
Mi commuove la tenerezza
della prepotenza
di chi mi spreme un limone sulla sciarpa.
Mi si fonde il sangue
prima solido e ghiacciato
quando cantiamo tra i POLITI
“Bella Ciao”
.
Sento di nuovo
il caldo della solidarietà
quando la nostalgia
del romanticismo
si spande tra tutti
alle parole di un giovane poeta
sopra una vecchia pietra
che dà più forza ai versi
che forse attraversano le tute antisommossa.
O forse solo ipocrisia
nelle mani che applaudono?
O davvero c'è qualcosa di più?
Mi piace pensarlo
perchè sarebbe un mondo migliore.
Mi rallegra pensare
che proprio perchè non ho barriere
vengo trafitta da tutto.
Dall'euforia nel parlare dei semi
al conforto di una zuppa calda
a chi mi stringe la mano in corteo
al dolore del devasto
alla delusione di chi non prende posizione.
Niente frontiere.
No border,
no nation
stop deportation.
Le persone poi ti restano dentro.
Le parole ti rimbombano ad ogni battito
dab lab
dab lab
dab lab
Ti senti parte di un tutto,
le esperienze si insediano nei gesti.
E come al solito
io non sono più io
ma non sono mai stata
più io
di così.
E continuo.
Non sono un'ottimista,
ho speranza.
Another world is possible.
Quante cose ancora da dire
come se lo spazio non fosse abbastanza
e questo tempo sempre troppo stretto.
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