giovedì 18 marzo 2010

In vena di romanticismo...


Lei portava tra le mani dei fiori gialli, ripugnanti, inquietanti. Lo sa il diavolo come si chiamano, ma per qualche motivo sono quelli che compaiono per primi a Mosca. E questi fiori risaltavano molto nettamente contro il suo soprabito nero. Lei portava dei fiori gialli! Un brutto colore. Dalla Tverskaja girò in un vicolo, e lì si voltò. La conosce la Tverskaja? Per la Tverskaja passavano migliaia di persone, ma le garantisco che lei aveva visto me solo, e mi guardava in modo non solo inquieto, ma persino morboso. E io fui colpito non tanto dalla sua bellezza, quanto dalla solitudine insolita, mai vista, dei suoi occhi! Obbedendo a questo giallo segnale, anch’io voltai nel vicolo e la seguii. Camminavamo lungo quel mesto vicolo tortuoso, in silenzio, io da una parte e lei dall’altra. E pensi che nel vicolo non c’era anima viva. Mi tormentavo perché mi sembrava che fosse indispensabile parlare con lei, ed ero inquieto perché non proferivo una sola parola, e lei se ne sarebbe andata e io non l’avrei vista mai più. E pensi che all’improvviso fu lei a parlare: “Le piacciono i miei fiori?” Ricordo distintamente come risuonò la sua voce, piuttosto bassa, ma con brusche variazioni, e per quanto possa sembrare stupido, ebbi l’impressione che nel vicolo si fosse creato un’eco, e che la voce ribalzasse contro la parete gialla e sporca. Passai rapidamente dalla sua parte e, avvicinandola, risposi: “No.” Mi guardò sorpresa, e io all’improvviso e del tutto inaspettatamente compresi che per tutta la vita avevo amato proprio questa donna! Mica male, eh? Naturalmente lei dirà che sono pazzo.»
«Sì, lei mi guardò sorpresa, e poi, dopo avermi guardato, fece questa domanda:
«”Non ama i fiori in genere?”
«Nella sua voce mi parve di cogliere dell’ostilità. Le camminavo accanto, sforzandomi di tenere il suo passo e, con mio grande stupore, non mi sentivo minimamente impacciato.
«”No, amo i fiori, ma non questi” dissi
«”E quali?”
«”Amo le rose.”

«A quel punto mi dolsi per quel che avevo detto, perché lei sorrise con aria colpevole e gettò i fiori in un rigagnolo. Un poco confuso, tuttavia li raccattai e glieli porsi, ma lei, con un sorriso, respinse i fiori, e io li tenni in mano.
«Così camminiamo in silenzio per un po’ di tempo, finchè lei non mi levò di mano i fiori e li gettò sul selciato, poi infilò la mano con un guanto nero svasato nella mia, e continuammo l’uno accanto all’altra.»
[…]
«Ma quel che accadde in seguito se lo può immaginare da solo.» All’improvviso s’asciugò una lacrima inattesa con la manica destra, e continuò: «L’amore balzò dinanzi a noi come da sotto terra un assassino balza in un vicolo, e ci lasciò entrambi esterrefatti. Come lascia esterrefatti un fulmine, come lascia esterrefatti un coltello a serramanico! Lei d’altronde in seguito affermò che non era stato così, che noi naturalmente ci amavamo da tempo, senza conoscerci, senza esserci mai visti, e che lei non aveva vissuto con un altro uomo…[…]
«Così lei aveva raccontato che quel giorno era uscita con in mano i fiori gialli perché finalmente io la trovassi, e che se la cosa non fosse avvenuta, lei si sarebbe avvelenata, perché la sua vita era vuota…

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