mercoledì 31 marzo 2010





Non penso nulla della felicità.
E' talmente sfuggente e intensa
da precludere la possibilità di pensare,
quando si è felici.

Forse essere capaci
di smettere di pensare
e sapere solo sentire
è la felicità.




Ma credo che il suo colore sia il rosso.
Come il sangue che sgorga dalla lama da bisturi,
come il comunismo dal pugno chiuso,
come le ciliege e il dentro dell'anguria
(piena di semini da sputarsi addosso),
come lo smalto di Wiki e le sue dita affusolate.



Il suo profumo quello di due dopo che hanno fatto all'amore,
o di Elettra che mi ha preparato la cena,
o del mio cane che scodinzola quando spunto sull'uscio di casa la sera,
o dei biscotti al riso di Jull.



Il suo gusto quello della marmellata di Cardi,
diverso ad ogni barattolo.
O di uno stelo d'erba che mastichi d'estate.
Dei pomodorini mangiati ancora sull'orto.
Della pioggia dopo troppo sole.
Del sole dopo troppa pioggia.



La sua consistenza come il pelo di Mirtilla.
O un maglione fatto a mano dalle tue amiche.
Le remiganti di un barbagianni.




Il suo ritmo, quello di una mazurka clandestina,
il suo suono il cigolio di una vecchia macchina da cucire a pedale,
lo scriccholare della mia bici che perde pezzi e non frena più.




1 commento:

di mestiere il vento. ha detto...

ora mi sembra di essere capace di sentire solo un' immensa tristezza.
ma passerà, e tornerò a sentire la resistenza.
chissà, magari riusciremo a sentire anche qualcos' altro prima o poi.

L.