mercoledì 15 aprile 2009

IL MIO NOME è ROSSO

Quando Firdusi, il poeta del Libro dei Re, venne a Ghazna, alla corte di Scià Mahmut per essere disprezzato come poeta provinciale,e all'improvviso declamò l'ultima strofa di una quartina di tre versi che finivano con una rima molto difficile, io ero lì, sul suo caftano. Quando il leggendario eroe del Libro dei Re, Rustem, partì alla ricerca del suo cavallo scomparso in paesi lontani, io ero sulla sua faretra, nel sangue che colò quando la sua spada straordinaria tagliò in due il gigante leggendario, tra le pieghe delle coltri quando passò la notte a fare l'amore con la bella figlia dello scià di cui era ospite. Ero ovunque e sono ovunque. Quando il vile Tur tagliava la testa a suo fratello Ireç, quando i meravigliosi e leggendari eserciti combattevano nella steppa e quando, per un colpo di sole, il sangue scorreva brillando senza sosta dal bel naso di Alessandro. Io ero lì. Ero sull'abito della bella che lo scià dei sassanidi, Behram Gur,- che ogni giorno della settimana sedeva su un trono di colore diverso e passava ogni notte con una bella diversa proveniente da un clima diverso e ne ascoltava le storie - visitava il martedì e di cui si era innamorato vedendone il ritratto, ed ero su tutto ciò che indossava dalla corona al caftano, Cosroe, e Sirin se n'era innamorata guardandone il ritratto. Ero sulle bandiere degli eserciti che assediavano le fortezze, sulle tovaglie dei banchetti, sui caftani di velluto degli ambasciatori che baciavano i piedi ai sultani, e ovunque si dipingeva la spada per le cui storie i bambini vanno matti. Sono stato steso con i pennelli sui fogli di carta pesante provenienti dall'India e da Bukhara, sotto lo sguardo di apprendisti dai begli occhi, di maestri mminiaturisti, ero sui tappeti di Usak, sulle decorazioni dei muri, sulle camicie indossate da donne tristi che guardavano la strada dalla finestra socchiusa, sulle creste dei galli da combattimento, sui frutti e sui leggendari melograni di leggendari paesi, sulla bocca di Satana, sulla sottile linea nei quadri, sui sinuosi ricami delle tende, sui fiori che il miniaturista faceva solo per proprio piacere, appena visibili a occhio nudo, sugli occhi di ciliegia delle statue di uccelli fatte di zucchero, sulle calze dei pastrori, sulle albe leggendarie, sui cadaveri e sulle ferite di migliaia, anzi, decine di migliaia di guerrieri, scià e innamorati. Amo stare nelle rappresentazioni di guerra dove il sangue si apre come un fiore, sul caftano del poeta più bravo mentre uomini e poeti bevono vino e ascoltano musica sui prati, sulle ali degli angeli, sulle labbra delle donne, sulle ferite dei morti e sulle loro teste tagliate che grondano sangue.

Sento che vi domandate: cosa vuol dire essere un colore?
Il colore è il tocco dell'occhio, la musica dei sordi, un grido nel buio. Dato che sono decine di migliaia di anni che ascolto, di libro in libro, di oggetto in oggetto, quel che dicono le anime, come il ronzio del vento, lasciatemi dire che il mio tocco somiglia a quello degli angeli. Parte di me richiama i vostri occhi, è la mia parte pesante. L'altra parte vola in aria con i vostri sguardi, è la mia parte leggera.

Sono così contento di essere rosso! Mi brucia dentro, sono forte, so di attirare l'attenzione, so anche che non riuscite a resistermi. Non mi nascondo. Per me la finezza non si ottiene con la debolezza o con la fragilità, ma con la decisione e la forza di volontà. Mi faccio notare. Non ho paura degli altri colori, delle ombre, della folla o della solitudine. Com'è bello riempire con il mio fuoco vittorioso una superficie che mi attende! Dove mi espando io, gli occhi brillano,le passioni si fortificano, le sopracciglia si alzano, i cuori battono forte. Guardatemi, com'è bello vivere! Contemplatemi, com'è bello vedere. Vivere è vedere. Io vedo ovunque. La vita comincia con me, tutto torna a me, credetemi.

....Una volta, in una città della Persia, quando il pennello di un apprendista mi stese sulle decorazioni di una coperta da sella del cavallo disegnato a memoria da un miniaturista cieco, avevo sentito discutere due maestri ciechi
"Noi che, com'era ovvio, alla fine siamo diventati ciechi per aver lavorato con ardore e fede tutta la vita, sappiamo e ricordiamo che tipo di colore e che tipo di sentimento è il rosso - disse il maestro che aveva disegnato il cavallo a memoria- Ma se fossimo stati ciechi dalla nascita, come avremmo capito il rosso che il nostro bell'apprendista sta stendendo?"
"E' un bel problema- disse l'altro- Ma i colori non si capiscono, si sentono"
"Raccontate, maestro, la sensazione del rosso a chi non l'ha mai visto"
"Se lo toccassimo con la punta delle dita, avremmo una sensazione di qualcosa tra il ferro e il rame. Se lo prendessimo in mano,sentiremmo bruciare. Se lo afferrassimo, lo sentiremo pieno come un pezzo di carne salata. Se lo prendessimo in bocca, la riempirebbe. Se lo annusassimo, avrebbe l'odore del cavallo. Se profumasse di fiori, sarebbe simile alla margherita, non alla rosa rossa"
...

Il mio nome è rosso Orhan Pamuk

4 commenti:

Artemisia G. ha detto...

catalpa???? per postare sul blog invece che studiare potevi fare cena con noi!!!!
ps: ma il tuo esame è patologia della riproduzione? valeria è convinta che sia venerdì....

Mavia ha detto...

no...
sono qui col tova...che mi travia con la uirra!!!!!!!

Mavia ha detto...

e il mio cp dice che l'esame è domani!!!

Artemisia G. ha detto...

mhmhm, il tova e la uirra si e noi con la tequila no? aspetta che ti piglio catalpa!!!!!